Con Eveline-Omaggio a Joyce e a Trieste di Cristian Carrara, si passa a nuove atmosfere, più rarefatte, dotate di una diversa forma di fascino, tratte da un testo più vicino a noi in senso temporale: il breve racconto tratto da Gente di Dublino. Qui si hanno tutt’altre suggestioni da un autore che ha fatto della sonorità verbale la propria cifra al punto da considerare quasi un delitto leggere le sue opere in traduzione. Come giustamente scrisse Italo Svevo,“ I dublinesi (tradotti in francese col titolo Gens de Dublin) vi sono noti […]. L’importanza di tali novelle è scemata dal confronto coi lavori che le seguirono, ma si può dire che il Joyce vi ha trovato le sue intere basi. È il raccontatore impersonale che non trascura nulla, né dimentica una linea di colore. I suoi personaggi si possono toccare.” Carrara offre delle suggestioni che sono quasi un accenno, il profumo delicato dei luoghi descritti dal testo. La drammaticità interiore è invece espressa in modo fortissimo senza nascondere nulla: l’ineluttabilità, l’impossibilità di uscire da una condizione subita, la speranza tradita, il desiderio di una vita degna. Il ritmo percussivo presente ad un certo punto, sostenuto anche dai pizzicati degli archi esprime tutta l’angoscia della protagonista.

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